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Il ReazionariO

Zazen – Tecniche pratiche

«Una speciale tradizione esterna alle scritture (教外別傳)
Non dipendente dalle parole e dalle lettere (不立文字)
Che punta direttamente alla mente-cuore dell’uomo (直指人心)
Che vede dentro la propria natura e raggiunge la buddhità (見性成佛)»

Molto si è detto e molto si dirà sulla storia dello Zen e sulla sua filosofia, ma raramente si tratta in senso compiuto quel che sono le tecniche ed il metodo che risiede alla base di ogni buona pratica. Lo Zen in una delle sue forme pratiche, lo Zazen (zen seduto), detta gli schemi fisiologici e mentali del comportamento funzionale del nostro corpo, donandoci come nell’esecuzione di un Kata delle arti marziali, i waza, le tecniche che sono il principio per un corretta esecuzione e che regolano l’indissolubile rapporto che esiste tra la nostra mente ed il nostro involucro.

Non a caso il parallelismo con le arti marziali risulta per lo Zazen molto calzante, alla base infatti di una perfetta esecuzione di una tecnica marziale o di un combattimento vi è, oltre che una costante pratica dei Waza anche una costante pratica dello spirito. Molto importante risulta essere, come avviene nel jujutsu (arte della cedevolezza), del kenjutsu (arte della spada) ed in generale in tutte quelle arti che richiedono un certo padroneggiamento del proprio corpo e del proprio io che la pratica non si limiti alla mera sperimentazione poiché esistono delle regole ben precise nelle quali ci è possibile progredire agevolmente. Ce ne possiamo accorgere soprattutto agli inizi, quando ancora circondati dalle tenebre accendiamo una candela che ci permette di scoprire per prima cosa lo “spazio fisico” del quale siamo fatti, compreso questo possiamo capire i meccanismi che lo regolano e come in una tecnica eseguita all’infinito, col tempo e con la pratica si avvisano i miglioramenti tangibili. Importante però è avere una guida soprattutto nella prima parte, non un maestro da emulare, ma bensì un Sensei “persona che ha iniziato prima di un’altra”, qualcuno che possa guidarci nella tecnica svelandone la sua essenza, questo può venire solamente con una tramandazione diretta. A riguardo cito sempre un aneddoto per me molto esplicativo: durante un seminario di Jujutsu il mio maestro mi pose il seguente quesito: <sapresti fedelmente eseguire la tecnica che quei due Senpai stanno studiando? > Risposi certamente. La tecnica era semplice e facilmente replicabile. Esegui la tecnica con dedizione ed estrema precisione, la ripetei per volontà del maestro per tre volte. Il suo verdetto fu: <la tua tecnica è come un bonsai che non ha radici, splendido nella sua forma estetica ma privo di linfa>. Domandai quindi quale fosse l’essenza della tecnica, la sua risposta non fu come ci si aspetterebbe “guarda” ma bensì “senti”, eseguendo la tecnica su di me percepii tutto quello che non era possibile vedere.

 

Zazen Taijutsu (L’arte del corpo)

Posizione dello Zazen

Per praticare lo zazen solitamente ci si siede sul pavimento rivolti verso una parete, sopra una coperta imbottita di circa un metro quadro, su cui va appoggiato un comodo cuscino tondo chiamato Zafu, sul quale andremmo ad appoggiare le natiche e lasciando le cosce libere  in modo tale da poter puntare saldamente le ginocchia a terra ed assumere una posizione comoda e stabile. Esistono diverse posizioni ed ognuna ha delle proprie peculiarità, il neofita dovrà sperimentare quella a lui più congeniale che non comporti disagio se mantenuta per almeno 20-30 minuti. Le posizioni più utilizzate sono (Kekka fuza) posizione del pieno loto, (Hanka fuza) posizione del mezzo loto, la posizione di derivazione birmana, (Sei-za) posizione in cui le gambe sono dirette all’indietro poste ai lati del cuscino (Zafu). Kekka fuza è una posizione simmetrica, il piede destro sopra la coscia sinistra ed il piede sinistro sulla destra, le ginocchia poggino saldamente a terra, le mani sono tenute in grembo con la mano destra sotto quella sinistra e con le palme in alto a formare i mudra “Zenshuyo-no shaka”(Shaka nello stile zen), risulta essere una delle posizioni più complicate, ma allo stesso tempo è la più indicata poiché permette di sviluppare una simmetria delle gambe rispetto al centro del corpo “Tanden”, visualizzabile come un triangolo isoscele  sbloccando le catene motorie che involontariamente creano tensioni sulle spalle, sulla colonna vertebrale e sul diaframma. Hanka fuza la posizione del mezzo loto è una posizione asimmetrica che talvolta per essere eseguita necessita dell’ausilio di uno specchio onde evitare squilibri della colonna vertebrale. La posizione di derivazione birmana è anche una posizione simmetrica dove il dorso dei piedi che s’incrociano al centro è appoggiato di piatto sul cuscino. La quarta posizione, quella in sei-za, la più semplice da eseguire permette di studiare correttamente l’atteggiamento della spinta in avanti del Tanden, che deve essere mantenuto in tutte e tre le posizioni. Partendo da queste basi il tronco va mantenuto eretto, ruolo chiave lo giocano i muscoli del basso ventre, vedendo la posizione frontalmente si dovrebbe poter tracciare una linea perpendicolare partendo dal centro della fronte e passando per naso, centro del mento, gola, plesso solare, ombelico, fino al coccige. Importantissimo quindi è il ruolo del basso ventre che spingendo in avanti correttamente crea un cento di potenza al disotto dell’ombelico, che oltre a sbloccare come già detto catene motorie che creano tensioni fa si che tutto il peso del corpo tenda a scaricare in quel punto, creando in automaticamente una piacevole sensazione di quiete e favorendo una respirazione fluente e senza ostacoli. La posizione della testa deve essere il più stabile possibile, con il mento leggermente premuto verso la gola, il palato non serrato e la lingua delicatamente appoggiata sulla mandibola (questa posizione facilmente sperimentabile non favorisce la produzione della saliva, e decomprime le vie respiratorie). La sensazione che si deve avere in questa posizione è come se un filo sulla sommità della nostra testa tenda a tirarci verso l’alto mentre notiamo una forza stabile e bassa al centro del nostro ventre, creando una delicata distensione della colonna vertebrale (se questa posizione è correttamente presa si deve poter salire in piedi senza scomporre il corpo, come se qualcuno ci tirasse su dalla testa). Le palpebre socchiuse, le spalle e le bracci rilassate.

 

L’attenzione

Prima di tutto possiamo provare un semplice esercizio per prendere più consapevolezza delle nostre capacità, questo piccolo esperimento ci servirà in seguito per introdurre un concetto fondamentale nella pratica dello Zazen, la respirazione. Scegliamo un oggetto immobile abbastanza vicino a noi, come un quadro o un vaso, lo fissiamo rimanendo ad occhi aperti e perfettamente immobili per almeno un minuto, nello stesso tempo arrestiamo la respirazione e con la nostra attenzione saldamente concentrata sull’oggetto (o su un punto dell’oggetto), cerchiamo d’impedire l’ingresso d’idee e pensieri nella nostra mente. Con stupore scopriremo che siamo realmente in grado di bloccare i nostri pensieri. È possibile avvertire i primi accenni di pensieri ripresentarsi ma anche questi possono essere tenuti sotto controllo. Ci accorgiamo però che questa inibizione può essere mantenuta finchè la nostra respirazione è sospesa e che i nostri occhi divengono un mero specchio delle immagini riflesse dall’esterno e non avviene nessuna “percezione”, non apparirà nessun pensiero attinente al vaso o al quadro, nessun processo mentale attinente a cose dentro e fuori la nostra mente. Si può quindi parlare di “pura sensazione”. La pura sensazione deriva da una forte inibizione del processo del pensiero, non si tratta di uno stato inarticolato della nostra mente ma bensì di una forte e volontaria concentrazione verso il nostro interno. Questo “potere mentale” scaturisce dall’arresto o quasi della respirazione che implica fisiologicamente un accumulo di tensione nella muscolatura del diaframma che chiude la sua catena cinetica sui muscoli respiratori addominali; quindi produce tensione nel Tanden. Questo sarebbe spiegabile analizzando i due sentieri oscillatori del pensiero, che passano attraverso il centro simpatico dell’ipotalamo posteriore, chiamata “centro dello stato desto”. In uno dei due cicli i segnali passano dal centro dello stato desto al talamo anteriore e vengono trasmessi in tutte le direzioni all’interno della corteccia celebrale. Le aree della corteccia ritrasmettono il segnale al centro dello stato desto producendo in esso nuova eccitazione e dando quindi vita ad un maggior numero d’impulsi, questa sequenza di trasmissione si verifica sempre di nuovo dando vita al così detto ciclo oscillatorio 1. Nel secondo caso invece (ciclo oscillatorio 2) dei segnali prodotti dal centro dello stato desto vengono trasmessi alla formazione bulboreticolare del peduncolo cerebrale, producendo un aumento del tono muscolare in tutto il corpo. La tensione dei muscoli stimola a sua volta i propriocettori provocando segnali sensoriali che vengono ritrasmessi al talamo ed in fine al centro dello stato desto. Questi due sentieri oscillatori si influenzano a vicenda attraverso il cento dello stato desto, il tono ottenuto in uno di essi farà discendere il tono dell’altro, quando il secondo ciclo ad esempi tende a calmarsi, si avranno effetti acuti sul primo. Rimane ancora dubbio il fatto che il primo ciclo possa eseguire da se in modo completo l’attività della coscienza ed è per alto accertato che il pensiero non può essere controllato mediante la sola azione del primo ciclo. Quanto detto sopra è facilmente sperimentabile: basta sedersi per un certo tempo, con calma e tranquillità e provare a non pensare a nulla, noteremo subito che qualche idea si affaccia nella nostra testa e ben presto saremo assorbiti da questa dimenticandoci di noi stessi. Poco dopo però ridiventiamo subito consapevoli di noi stessi ricominciando a sforzarci di non pensare a nulla, innescando così un ciclo a catena, che porterà ben presto alla consapevolezza che di non poter controllare il pensiero che sorge dalla nostra mente. Si può affermare quindi che la pratica dello zazen di base mira ad esercitare ed ottenere un forte controllo sull ”attenzione”, fenomeno che segue le stesse dinamiche suddette e che come ben sappiamo è regolata dal secondo ciclo oscillatorio, questo spiega il perché l’attenzione possa essere mantenuta (se non allenata) solo per pochi secondi di pari passo alle contrazioni addominali che si riescono a creare nel Tanden. Qui gioca quindi un ruolo importante una buona respirazione, la base per eseguire correttamente da più piccolo gesto quotidiano alla prestazione marziale e soprattutto il controllo del pensiero.

 

La Respirazione

Quado si parla di respirazione si abbraccia un argomento vasto e poco sperimentato. Come accennato in precedenza una buona respirazione è la base per eseguire al meglio ogni nostro gesto nonché agevola l’ingresso nello Zammai (Samadhi). Solitamente si tende a dare poca importanza alla respirazione poiché ci appare come la cosa più naturale da eseguire, o meglio, è talmente naturale che diviene automatica, ma anche questo gesto semplice ma non facile richiede una pratica costante di allenamento di pari passo al livello tecnico che si vuol raggiungere (basti guardare un maratoneta, uno studente di iaido o di kendo, uno studente di karate ma anche, più semplicemente, chi esegue la cerimonia del tè). Per iniziare cerchiamo di prendere in considerazioni alcuni elementi base della respirazione che ci aiuteranno nella pratica dello Zazen (schema sotto). Analizzando lo schema partendo dal basso incontriamo una linea al livello dei 1200 millimetri, corrispondente al Volume polmonare residuo, il volume massimo di aria che è possibile espellere, poiché nessuna contrazione polmonare e muscolare può espellere la totalità dell’aria; tra la linea dei 1200 e quella dei 2300 millimetri troviamo il “volume di riserva”. La sinusoide che viaggia tra la linea dei 2300 (orizzonte della respirazione) e i 2800 millimetri rappresenta l’andamento di una normale respirazione, l’afflusso ed il deflusso di aria viene normalmente definito “volume di marea” ed ha un volume di circa 500 cm^3. Nello Zazen, viene presa in considerazione come accennavamo, la tecnica respiratoria che vede protagonista il basso ventre (Tanden), nelle arti marziali e nell’esecuzioni di Kata normalmente si usano 7 tipi differenti di respirazione in base alla tecnica che si sta eseguendo. La linea tra A e B mostra il volume massimo della respirazione dello Zazen, per massimizzare gli effetti della respirazione andremo a praticare in questo range. La figura mostra anche che dopo questa respirazione profonda esistono 4/5 cicli di respirazione normale e rilassata. Durante l’esercizio i neofiti non dovranno subito praticare la respirazione fino al massimo volume di riserva, ma come ci indicano le linee tratteggiate si seguono i canonici tre livelli di progressione. Il metodo di respirazione d’adottare nello Zazen consiste nel cercare di mantenere quanto più inibita la respirazione di tipo toracica, nell’ispirazione si tenderà ad utilizzare i muscoli addominali agevolando l’andamento verso il basso del diaframma che a sua volta attira a cascata la cavità pleurale, aumentando la capacità di carico dei polmoni senza creare tensioni con i muscoli del collo e dei fascianti addominali laterali. Questo fa si di poter mantenere tensione e pressione per un periodo progressivamente sempre più lungo garantendo una vigorosa stabilità fisica e mentale. La sensazione che si deve percepire è quella di un accumulo di una gran quantità di energia nel Tanden, percepibile anche come energia spirituale. Possiamo provare un esercizio molto semplice per sondare i nostri progressi. Presa la nostra posizione chiediamo ad un nostro collega di studi di provare a sbilanciarci con una lieve pressione da più angolazioni, se il lavoro di Tanden è ben fatto, si riscontra subito una stabilità inamovibile. Poniamo grande attenzione nella fase di espirazione cercando di non scaricare in un sol colpo tutto il volume di riserva, la sensazione che si deve percepire è quella di mantenere l’equilibrio di opposizione tra il diaframma ed i muscoli addominali questo permetterà un esalazione controllata più intensa e duratura. In fine si proverà a ripetere con queste condizioni l’esercizio di un “minuto di zen” spiegato sopra e si constaterà immediatamente un netto miglioramento. Questi principi rappresentano la base generale della respirazione Zazen che verranno poi applicati nei vari metodi di pratica dello Zen.

Il Reazionario

 

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