Le due vie del post mortem
Sappiamo tutti che l’uomo, allo stadio attuale della sua evoluzione, possiede un Io, che però non si esprime, nella normalità dei casi, secondo l’immediatezza che sarebbe propria alla sua autonomia, qualora potesse essere conseguita.
In verità, nell’uomo comune, l’Io assiste, impotente, alle manifestazioni del corpo astrale, o se si vuole essere più precisi nel senso di “Scienza occulta”, all’insieme di corpo astrale ed anima senziente, mossi, come sappiamo, da influenze spirituali che l’Io, nella normalità dei casi, è incapace di dominare.
Se in questo senso dico che a cena, di fronte a un amico, io sto parlando con un “corpo astrale”, dovrebbe risultare evidente che mi riferisco sinteticamente a questo stato di fatto, inequivocabile per chi abbia compreso i fondamenti della Scienza dello Spirito.
Di più! Tutto quel che così si esprime, a partire dalla presente condizione umana, costituisce serio impedimento all’evoluzione spirituale al punto che, nel percorso post mortem che chiamiamo Kamaloka, o se si vuole Purgatorio, l’uomo se ne deve liberare, proseguendo la sua evoluzione con quel minimo resto di astralità che ha potuto portare con sé perché frutto della propria autonomia interiore.
E per quegli uomini che non potessero portare con sé nulla, oltre la soglia del Kamaloka, l’Io si ricongiungerebbe al Divino, vergine, così com’è disceso, e in questo senso non si potrebbe neppure parlare di immortalità, per una siffatta “tipologia” di anima.
In questo senso, se non si vuole ogni volta dover precisare in dettaglio ciò a cui ci si riferisce, è più comodo e sintetico parlare di corpo astrale, perché quell’Io, seppur presente, non porterà, dopo la morte, memoria di tutte le manifestazioni sentimentali-istintive da cui è stato dominato.
In sintesi, la tanto decantata continuità tra Ego ed Io, esiste solo sulla Terra, solo finché i corpi consentano all’Io continuità di esperienza, ovvero memoria.
Quando questi corpi vengano deposti, la continuità può reggersi solo su quel che l’Io ha potuto edificare, in questi corpi, del tutto consapevolmente.
Risulterà evidente, a questo punto, che l’individuo che voglia e possa affermarsi come ente spirituale autonomo, dovrà iniziare col porre fuori di sé, obiettivo, tutto il contenuto dell’essere astrale-senziente come ordinariamente si manifesta. E sarebbe davvero ingenuo cercare autonomia nel sentimento e nella volontà se non la si possa esercitare nel pensare: i sentimenti e gli impulsi volitivi, nell’uomo comune, rimandano comunque a pensieri!
Allora mi chiedo, a proposito di queste nostre chiacchierate domenicali: vogliamo davvero perder tempo a far la punta a tutte le matite in cui inciampiamo per caso, oppure cerchiamo un linguaggio comune per instaurare un dialogo?
Io come sapete, sono uno sfegatato sostenitore del “silenzio mentale”.
Il Reazionario