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Il ReazionariO

Energia

Svuotando una cantina per far posto a un nuovo progetto di vita, ti trovi a rovistare tra reperti del passato. Alcuni, non essendo proprio tua la cantina, non proprio appartenenti alla tua storia, ma, nonostante ciò, capaci di risvegliare vecchie velleità della prima gioventù. Come quella di comprendere la psiche umana. Ti trovi allora a sfogliare un volumetto, di quelli delle edizioni tascabili, abbastanza vecchio da avere ancora il prezzo in lire, 3.900 per la precisione. Sopra trovi scritto, a caratteri cubitali, “JUNG” e, poco sotto,  “La psicologia dell’inconscio”.

Alternando la lettura della carta ingiallita dal tempo  con le ricerche sullo schermo del tuo pc, dalla definizione ben più elevata, inizi a scoprire assonanze. A leggere cose che ti stimolano connessioni immediate. Parole scritte che rimandano a discorsi ascoltati in vita, in presenza. Alla presenza di un caro fratello che ora non c’è più.

Scopri che questo Carl Gustav Jung, padre assieme al più noto Sigmund Freud, della moderna psicoanalisi, aveva una passione smodata per il pensiero di Friedrich Wilhelm Nietzsche.  E, soprattutto, che questo Jung amava, più di tutto, di quel baffone di Federico Guglielmo il “Così parlò Zarathustra”.

Jung dopo esser stato allievo di Freud, se ne allontanò a causa di un’insanabile divergenza. La forza del dissenso di Jung fu tale da creare una scissione fondamentale sulla nascente storia della psicologia, tant’è che, a tutt’oggi, gli psicoterapeuti amano distinguersi, tra l’altro, in appartenenti alla scuola freudiana o a quella junghiana. Il motivo della presa di distanze consistette nella definizione del principio informatore della psicoanalisi. Mentre Sigmund Freud rimase fermo sull’elemento della sessualità, come unica chiave in grado di poter interpretare l’inconscio, Carl Gustav Jung pensava che la questione fosse molto più ampia, attinente non solo alla psicologia individuale, ma a un concetto più vasto e irriducibile, relativo alla psicologia collettività che lui definì: ENERGIA.

E’ in momenti come questi, in cui leggi dibarbosi studiosi della psiche altrui che, incapaci di dare una spiegazione all’ignoto, ricorrono a una parola utilizzata da quel tuo caro fratello come manifesto della sua arguzia fuori dal comune, che ti rendi conto di quanto sei stato fortunato ad averlo conosciuto.

Jung volle distinguere i tipi umani in due grandi categorie: introversi ed estroversi.  I primi baricentrati sul pensiero, i secondi sul sentimento. Esemplificazioni da laboratorio, ovviamente. Nulla a che vedere con la realtà. Qualcosa di simile però si. Eppure per Noi la vita è soprattutto azione. Azione al di sopra di pensieri e sentimenti anche se da essi inevitabilmente condizionata. E così è stato anche per il nostro caro fratello.

Per Jung, Nietsche visse al di là dell’istinto, nell’aria rarefatta della grandezza eroica, a livelli di tensione massima. E molto probabilmente l’esperienza di vita del nostro caro fratello, che ora non c’è più, si è di molto avvicinata a quel modello ispirato da Federico Guglielmo. Gli ultimi anni del nostro caro fratello sono stati veramente percepiti come gocce grevi che preannunciavano la tempesta.

La volontà di potenza come modello a cui ispirarsi ha causato una frenetica corsa alla consunzione dell’anima e delle membra.

Che forse avesse scartato l’ipotesi di essere ‘santo’ della conoscenza per divenirne, fin dai primi suoi anni di militanza, guerriero? Il suo modo di atteggiarsi alla vita me lo hanno fatto pensare, l’epilogo è stato ancora più suggestivo.

Jung dice che esiste negli artisti, come nei mistici e nei pensatori, la possibilità di accedere all’inconscio sovrapersonale, una categoria in grado di unificare l’essere uomo a simboli e motivi mitici fondanti.

L’ispirazione, l’intuito e l’estro, che permettevano al nostro caro fratello di creare le sue operare su pelle, erano la sua cifra artistica. Delle arti aveva scelto quella più in grado di connettersi in modo ancestrale al significato di appartenenza a una comunità.

Credo di ricordare anche alcuni suoi discorsi che richiamavano a questa volontà di esprimere il proprio genio utilizzando la tecnica di marcare il corpo degli uomini con simboli di appartenenza.  Arte e amore, entrambi vissuti al di sopra delle sue possibilità.

Il nostro caro fratello ha vissuto, consapevolmente, come un funambolo. Cosciente di essere sospeso su una fune che collega l’alba al tramonto.

Aver sperato che potesse essere più cauto nell’attraversamento probabilmente mi farebbe guadagnare da parte sua l’appellativo di “scoreggione”.

Sarebbe stato bello però poter ancora ammirarti in equilibrio a schivare le sassate di quel nano chiamato Fato. Caro Fratello! 

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