Vita e morte della civiltà
L’argomento della crisi del mondo occidentale è stato oggetto delle analisi di storici, filosofi, sociologi e politici. Nessuno di questi però ha saputo cogliere l’elemento trascendente, alto, spirituale di tale crisi, ponendosi infatti da una angolazione soltanto particolare, dove si metteva in risalto l’elemento della crisi che maggiormente interessava. Ci si è pertanto soffermati a volte sulla crisi dell’Individuo e sul Nichilismo, altre sulla crisi del modello economico capitalista (come se il capitalismo rappresentasse l’asse della civiltà occidentale) o piuttosto sui fallimenti del sistema politico democratico. Visioni parziali appunto, che escludono forse volutamente l’elemento spirituale e sacro tipico di una civiltà. Chi invece ha avuto il merito di definire in poche pagine le cause principali della crisi di una civiltà è stato Julius Evola, che ha trattato l’argomento nel Capitolo “Vita e Morte delle Civiltà”.
Evola affronta pertanto la crisi spirituale delle civiltà a lui care: le civiltà tradizionali. E la causa della crisi non può che non essere l’allontanamento dalla Tradizione, l’allontanamento da parte di tutte le classi sociali dalla Legge, dal Principio, dall’Ordine dirette espressioni della Civiltà stessa. Evola inoltre sottolinea come, nelle forme più recenti, l’ordinamento statale sia solo uno involucro contingente rispetto al mantenimento di una Civiltà tradizionale: la forma di governo è il corpo, e per quanto possa essere ormai compromesso da influenze borghesi o plebee, ciò non toglie che l’Anima, la componente spirituale di una Civiltà, non possa continuare a sopravvivere. La civiltà si dissolve, secondo Evola, quando si esce dalla Tradizione e da quanto deriva da essa: quando si alterano le Leggi, si abbandonano i Riti, si confondono le caste. E cosi che “si prende la via degli Inferni”. Questa crisi può essere vissuta a prescindere dalla forma di governo adottata dal punto di vista prettamente politico. L’uscire dalla Tradizione può avvenire secondo Evola sia a livello di singolo che a livello di Popolo/Civiltà. Allo stesso modo dell’Uomo, una Civiltà nasce, si sviluppa, raggiunge il suo massimo splendore e poi decade e muore.
Tra i vari scrittori che hanno affrontato il tema del tramonto delle civiltà, Evola cita il De Gobineau e il suo fondamentale “Saggio sulla diseguaglianze delle razze umane” (1853/1855). Evola condivide le premesse di tale opera: le cause empiriche non sono assolutamente sufficienti a spiegare il declino di una civiltà. E’ assolutamente dimostrabile ad esempio che una crisi politica, una sconfitta militare, una calamità naturale non rientrino tra tali cause: molte civiltà sono sopravvissute a disastri di ogni genere (rivoluzioni, catastrofi militari, invasione straniere) salvo poi crollare e sbriciolarsi di fronte a avvenimenti apparentemente meno rilevanti. Neanche una capillare organizzazione governativa centralistica è antidoto certo a tali crisi cosi come non è causa delle crisi stesse l’insinuarsi di una morale borghese. L’imborghesimento, la corruzione dei costumi sono effetto e non causa delle crisi. Sempre secondo De Gobineau, nemmeno l’invecchiamento della popolazione può rappresentare un sintomo oggettivo cosi come un continuo ritrovarsi in stato di guerra e pericolo, elemento quest’ultimo considerarsi addirittura positivamente.
Se Evola quindi abbraccia le premesse del De Gobineau, viceversa sulle conclusioni non può dirsi altrettanto. Per il filosofo francese l’elemento determinante nelle crisi delle civiltà è quello razziale: o meglio la causa della crisi è la mescolanza razziale. Mescolare il sangue è l’inizio della decadenza della civiltà. Nello specifico De Gobineau tratteggia nella razza bianca la detentrice della Storia, e nella mescolanza di quest’ultima la causa di ogni crisi. Evola respinge aspramente queste tesi: in Rivolta le definisce di natura biologica, naturalistica, scientifica e di conseguenza senza alcun richiamo allo Spirito, a una componente trascendente che effettivamente in De Gobineau sembra del tutto assente.
Rito, Gerarchia, Legge, in una parola Tradizione, nascono quando una forza spirituale agisce sulla materia Razza: tulle le civiltà tradizionali hanno come atto fondante un atto divino e sempre un atto divino, di segno opposto e contrario, deve portare all’alternarsi e al tramontare delle civiltà. L’elemento Razza e nello specifico la mescolanza delle stesse non può essere il fattore determinante per porre fine a qualcosa di molto più grande. Evola non nega affatto l’importanza dell’elemento Sangue-Razza (sempre strettamente connessi) anzi ne sottolinea l’importanza anche in molte civiltà tradizionali, dove si andava a manifestare per esempio nella norma sull’ereditarietà delle caste o nella legge endogamica. Ma per Evola una civiltà tradizionale non si decompone per semplice mescolanza razziale.
Cina, Grecia, Roma, Islam sono secondo Evola esempi chiari di come le civiltà sopravvivano alle mescolanze razziali: restano forti e vive in vigore e per effetto non della loro razza biologica ma della “Razza dello Spirito”. Quando la “radice generatrice dall’alto” di una civiltà non è più viva e la “Razza dello Spirito” si prostra, allora la civiltà decade. E a nulla vale a quel punto la sopravvivenza a livello temporale di riti, leggi, istituzioni e costumi: si tratta ormai solo di simulacri privi di ogni riferimento reale, sono fantasmi del passato, che si sfigurano sempre più. A questo punto non vi è alternativa alla morte della civiltà che si concretizza nell’unica forma del caos e dell’individualismo.
Il concetto di civiltà come organismo soggetto a nascita, sviluppo, apogeo, decadenza e crollo è condiviso anche da Oswald Splenger, il quale nel 1918 ebbe a pubblicare la sua opera più nota: “Il tramonto dell’Occidente”. Opera complessa e ambiziosa il cui sottotitolo “Lineamenti di una morfologia della storia mondiale” è indicativo di come il sistema comparativo sia stato utilizzato dal filosofo tedesco per mettere a confronto la vita di ben otto civiltà. Occorre tuttavia sottolineare come la civiltà occidentale di cui parla Splenger non è la civiltà tradizionale bensì la civiltà del suo tempo, dominata dagli effetti delle varie rivoluzioni democratiche. Il raffronto infatti avviene proprio tra civiltà antiche e quella attuale moderna, una civiltà dove “Dio è morto” e dove la civilizzazione ha preso il sopravvento sulla civiltà, con la sua caratteristica nefasta di mantenere in vita modelli già morti e sorpassati. Citando lo stesso Spengler la civiltà occidentale nel periodo in cu scrive si trova allo stato in cui “la pietra rotolante si appressa, con furiosi sbalzi, all’abisso”.
Un elemento condivisibile nel pensiero di Spengler è la drastica contrapposizione tra Kultur e Zivilization: ogni civiltà come dicevamo è un organismo soggetto a un percorso di nascita crescita decadenza e morte: in questo ciclo prevalgono, nel momento di ascesa, i valori della Kultur, al quale seguono con forza crescente i valori negativi della Zivilization: la Kultur è la cultura positiva, vitale, non priva di una sana barbarie; la Zivilisation (di cui non deve sfuggire la provenienza lessicale straniera) è invece la cultura raffinata ed estenuata della decadenza internazionale malata e votata alla consunzione.
Nel 1996 un professore americano, Samuel Huntington, pubblicò un testo dal titolo “Lo scontro delle civiltà”. Il tema della crisi dell’Occidente veniva pertanto nuovamente ripreso, ma senza alcun riferimento spirituale o trascendente. Il successo dell’opera fu postumo, e dovuto ai noti episodi dell’11/09/2001. Il concetto centrale dell’opera risiede infatti nell’affermare che il nuovo corso della Storia sarà sotto il segno di scontri tra civiltà legati a motivi religiosi, una sorta di preveggenza di quanto avverrà nell’opposizione tra Occidente e Islam Radicale. Ma nulla a che vedere con l’ampio respiro delle opere di Evola e Splenger.
Il Reazionario