Oltre la Linea
“Quando tutte le istituzioni divengono equivoche o addirittura sospette, e persino nelle chiese si sente pregare ad alta voce per i persecutori, anziché per le vittime, la responsabilità morale passa nelle mani del singolo, o meglio del singolo che non si è ancora piegato”
(E. Junger, Trattato del Ribelle)
Il paesaggio da cantiere
Lo scenario del mondo della tecnica, del mondo moderno per utilizzare un linguaggio evoliano, si annuncia come un “paesaggio da cantiere”, definizione utilizzata per descrivere la provvisorietà e il fine meramente utilitaristico e provvisorio degli strumenti del lavoro (e quindi della sussistenza di ognuno) e le opere della tecnica. In questa ambientazione tutto viene continuamente rimodellato a secondo di quell’inquietudine che anima costantemente l’uomo moderno. Nel mondo della tecnica non dominato dall’operario (dall’uomo consapevole) nulla viene realizzato per durare, tutto viene costruito per soddisfare un fabbisogno. Le opere dell’uomo moderno infatti non lasciano alcun segno alla posterità, a differenza delle costruzioni antiche che ancora oggi possiamo ammirare e che ci lasciano presagire le forze nascoste che hanno animato la loro creazione: “Ogni mezzo ha un carattere provvisorio ed è destinato ad usi dalla durata limitata (…). Il singolo vive vegetativamente in mezzo a questo paesaggio dove gli si chiede il contributo di un lavoro parziale il cui carattere è effimero. (…) Questa condizione di provvisorietà è anche visibile nella confusione e nel disordine che da più di un secolo contrassegnano il paesaggio tecnico. E’ uno spettacolo che ferisce lo sguardo (…) Queste città coi loro fili e con le loro esalazioni, col loro frastuono e con la loro polvere, con la loro confusione da formicaio e il loro caos di architetture antiche e moderne che ad ogni decennio danno loro un volto sempre diverso, sono dei giganteschi cantieri di forme, ma esse stesse sono informi. Manca loro uno stile, a meno che non si voglia considerare l’anarchia come un particolare stile” (E. Junger, L’Operaio).
Controllo della tecnica e nascita di una nuova forma di stato
All’operaio consapevole (leggiamo operaio come Uomo), osservatore analitico dei fenomeni, si chiede il controllo della tecnica, il suo dominio attraverso la volontà e attraverso la capacità di adoperare i mezzi di produzione. Junger individua tre tipologie di operario: 1) l’operaio che subisce passivamene i processi tecnici; 2) l’operario che prende coscienza della situazione e del suo ruolo e che si raccoglie in “ordini” cioè gruppi precisi di suoi “simili”, caratterizzati cioè da stessa tipicità; 3) la terza tipologia corrisponde ad una fase quella cioè in cui gli ordini, le élite di nuovi tipi umani assumono il pieno controllo della tecnica attraverso l’istaurazione di un regime politico del lavoro: “La caratteristica della situazione attuale è che i mezzi di cui disponiamo non solo bastano ad ogni esigenza della vita, ma danno di più di quello che gli viene richiesto” (E. Junger, L’Operaio). Controllo dei mezzi di produzione e inversione della tendenza tecnica per l’affermazione di una nuova forma di stato “nazionale e socialista”; per Junger infatti il nazionalismo ed il socialismo sarebbero i principi secondo cui sono destinate ad orientarsi le forme politiche del presente periodo di transizione (corrispondente alla costituzione degli ordini). Nazionalismo e Socialismo continuano però a basarsi sui concetti di massa ed individuo, quindi su vecchi schemi di pensiero e di mobilitazione. Il nuovo “tipo” invece si affranca dalla massa perché si eleva dal suo livellamento e dal concetto standard, perché imprime il suo “sigillo”, la sua impronta, la sua forma ; si affranca dall’individualismo in quanto la “tipicità” non è l’uniformità propria delle cose indistinte che si addice non ai “simili” ma agli “uguali”. “La costruzione organica del nuovo Stato non può essere arbitraria, non può essere la realizzazione di un’utopia, né accadrà che ad una persona o ad un gruppo siano assegnate funzioni o compiti per i quali non siano adatti” (E. Junger, L’Operaio).
Junger politico?
Dopo il 1945 Junger ed altri pensatori tedeschi “impegnati” e quindi associati al Regime Nazional-Socialista vengono del tutto estromessi dalla vita accademica con la conseguente messa al bando delle loro opere. L’inclinazione politica di Junger, che già aveva subito un mutamento dopo la morte del figlio (1939) e il tentativo di tradimento ai danni di Hitler (1944), si esprime in una diffusa delusione mista a un senso di disimpegno e nostalgia che si costateranno in tutte le sue opere successive. Junger, dopo la sconfitta dell’hitlerismo, sembra ricredersi sulle possibilità di affermazione dell’operario, della creazione dello stato organico e nella sovranità stessa dell’operaio/uomo differenziato. Da questo contesto storico estremamente mutato dal 1932 (anno di pubblicazione dell’Operaio) Junger matura un netto senso di evasione, di velato disimpegno che scaturisce in parte nel Trattato del Ribelle e poi nel romanzo Eumeswil. Esiste quindi un pensiero politico di Junger? Si potrebbe definire Junger un osservatore, un sociologo ma non un pensatore politico in senso stretto, eppure sarebbe una posizione superficiale che non tiene conto di tutti gli aspetti. Junger fu un riferimento negli anni ‘20 per tutti gli ambienti reducistici, negli anni ’30 seguì i strascichi della Rivoluzione Conservatrice e dei Nazionalisti, nel ’32 dedica l’Operaio ad Hitler dimostrando con ciò l’adesione alle intenzioni del NSDAP. La sua meditazione politica inoltre si sviluppa anche negli anni ‘50, quelli che abbiamo definito della delusione. Un tentativo di rielaborazione di un atteggiamento politico dell’uomo nei confronti del mondo post seconda guerra mondale lo si trova in Oltre la Linea (1951), il Trattato del Ribelle (1952), il Nodo di Gordio (1953). Queste elaborazioni saranno la nuova risposta all’imposizione planetaria del nichilismo.
Il punto zero
Il trittico di operette rappresenta una delle più acute analisi del nostro tempo, come maggiore prospettiva rispetto all’Operario che rimane concentrato su una formula (seppur rivisitata) del socialismo e appare come un impossibile messaggio di speranza di uno Stato dominato dalla volontà del nuovo tipo. Junger non si illude più che alcune certezze possano avverarsi ma non mancano in lui le motivazioni per continuare a pensare una via d’uscita dal nichilismo: per farlo si confronterà con Martin Heidegger in Oltre la linea, e con Carl Schmitt nel Nodo di Gordio. Le produzioni scaturiranno una vasta eco la cui risonanza anziché scemare è andata divenendo nel tempo più fragorosa. Dopo aver compreso l’impossibilità per l’operaio (l’uomo consapevole) di dominare la tecnica (intesa come forza preponderante della modernità), indicando allo stesso tempo la fine della sua espansione, l’obiettivo di Junger è rideterminare il termine di riferimento per diagnosticare la situazione a cui è arrivato il mondo contemporaneo. E’ la ricerca della linea, del punto zero, oltre il quale può dirsi iniziato il superamento del nichilismo, il punto che segna la consunzione del passato ma che ancora non può visualizzare chiaramente la nascita del nuovo “il meridiano zero oltre il quale non valgono più i vecchi ordinamenti e dove, sottoposto a un’accelerazione fisica e tecnica sempre più veloce, lo spirito è in affanno e non ha ancora trovato i suoi orientamenti” (Franco Volpi, introduzione a Oltre la linea). L’elaborazione jungeriana degli anni ’50, lontana dalle visioni politiche contestuali, appare quindi come una diagnosi aggiornata dell’epoca attuale che rielabora il concetto di realismo eroico e che definisce i confini dell’ultimo uomo di Nietzsche (abbandonando quindi la velleità di creare il super-uomo-operaio). Elemento costante in Junger sarà sempre il suo carattere operativo: egli ci conferma l’ubiquità del nichilismo (il carattere totale) che si esercita attraverso la Tecnica e ancora “al di là della descrizione diagnostica, Junger si cimenta con una prognosi della malattia nichilista per poter raccomandare un comportamento a chi, nello sfaldarsi di ogni risorsa tradizionale, rimane per lui il vero e proprio tribunale di questo mondo” (Franco Volpi, introduzione a Oltre la linea).
“L’attraversamento della linea, il passaggio del punto zero divide lo spettacolo; esso indica il punto mediano, non la fine. La sicurezza è ancora molto lontana”
(E. Junger, Oltre la linea)