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L’esoterismo di Tropea e Gerace – Dalla Magna Grecia all’arte bizantina

Di ritorno dalle Colonne (probabilmente l’attuale Gibilterra) la leggenda vuole che Ercole arrivò sulla costa tirrenica del sud Italia. Qui si sviluppò già in epoca magno-greca una civiltà simbolo e sintesi della trasversale e dinamica cultura greca prima e romana poi, fino ai bizantini e quindi ai crociati.

Maschera del portale del palazzo Mottola-Casaburi, Tropea
Maschera del portale del palazzo Mottola-Casaburi, Tropea

A Tropea, scolpite sui portali granitici di numerosi palazzi nobiliari insieme a svastiche, spirali e simboli solari, troviamo alcune maschere enigmatiche che richiamano ad un contesto iniziatico di tipo rosacrociano che in Calabria raccolse l’eredità dell’epoca sveva e carolingia. La continuità fra la tradizione esoterica graalica e carolingia e quella templare e federiciana, è estremamente ricorrente sia nelle aree tirreniche che in quelle ioniche, come ad esempio a Gerace dove troviamo una svastica scolpita sul portale svevo della Chiesa di S. Francesco. Sotto il braccio della svastica ruotante verso destra è infatti raffigurata una misteriosa maschera umana che allude evidentemente all’Uomo Rinato, all’Uomo Rigenerato in seguito all’iniziazione. Gerace fu fondata in epoca pre-greca ma vede il suo sviluppo nel VII Sec. D.c. e la sua costruzione più intensa avverrà dopo il X Sec. D.c. grazie ai crociati di ritorno dalla Terra Santa, portando nella città conoscenze e simboli di altre terre.

Portale della Chiesa di S. Francesco, Gerace
Portale della Chiesa di S. Francesco, Gerace

La Chiesa di S. Francesco è un edificio gotico con portale a triplice archivolto e decorazioni arabo – normanne con influssi siciliani (XII – XIV sec.). Ha un altare maggiore barocco, decorato con marmi policromi intarsiati; un altare monumentale dedicato a S. Antonio da Padova; il sepolcro marmoreo di Nicola Ruffo; nelle nicchie sono collocate le statue della Madonna delle Grazie tra due angeli e dei Santi Elena e Pietro.

Un’altra maschera enigmatica, questa volta sbocciante da una rosa è presente nello stemma che sovrasta il portale del Palazzo Granelli a Tropea. Un’altra maschera bizzarra tropeana, situata sul portale barocco del Palazzo Mottola-Casaburi (decorato a rose, svastiche e doppie spirali), sembra invece richiamarsi direttamente alla leggenda del Graal. Essa rivela un terzo occhio al posto dell’arcata zigomatica e una seconda bocca in mezzo alla barba. Anche questa maschera si riferisce all’Uomo preadamitico, all’Uomo reintegrato nell’Uno organico: la leggenda graalica, infatti, afferma che il Graal, simbolica Coppa che raccolse il sangue di Cristo, accolse anche il terzo occhio che Adamo aveva perso nella caduta.

Palazzo Granelli in Largo Sannio.  Stemma con maschera umana, Tropea
Palazzo Granelli in Largo Sannio.
Stemma con maschera umana, Tropea

Del terzo occhio perduto dall’uomo parlano quasi tutte le tradizioni religiose, come ad esempio gli Indoarii dell’India e i Maya precolombiani. Ecco un brano tratto dai Commentari indiani: “Vi erano creature umane munite di quattro braccia, in quell’epoca remota dei maschi-femmine (allusione all’Individuo assoluto, nella concezione cristiana gli angeli sono puro intelletto da un punto di vista filologico, esseri completi e senza distinzione di sesso) e con una sola testa ma con tre occhi. Essi potevano vedere davanti e dietro a sé. Un Kalpa più tardi poiché gli uomini erano caduti nella materia, la loro vista spirituale si affievolì e il Terzo Occhio cominciò a perdere gradualmente la sua potenza […] Quando la Quarta Razza raggiunse il periodo medio della sua Era fu necessario risvegliare la Visione Interna e acquistarla per mezzo di stimoli artificiali, il cui processo era noto agli antichi Saggi […] Il terzo Occhio, pietrificandosi gradualmente a sua volta, non tardò a scomparire. Le doppie facce diventarono la faccia unica, l’occhio si infossò profondamente nella testa ed attualmente è situato sotto i capelli. Durante i momenti di attività dell’Uomo Interno l’occhio si gonfia e si dilata. L’Arhat (Il Saggio) lo vede e lo sente e regola le sue azioni in conseguenza […] Il Lanco senza macchia (il Discepolo) non ha nulla da temere, colui che non si mantiene in stato di purezza non riceverà alcun aiuto dell’Occhio Deva”. Nel Popol Vuh maya troviamo: “Guardavano e vedevano lontano, potevano conoscere tutto quanto c’è al mondo. Quando guardavano, vedevano tutto, d’intorno, e la cupola del Cielo e l’interno della Terra. Senza muoversi vedevano tutte le cose nascoste, lontane. Vedevano subito il mondo intero e lo vedevano dal luogo in cui stavano. Grande era la loro saggezza. Il loro occhio giungeva alle foreste, alle rocce, alle lagune, ai mari, ai monti ed alle valli. In verità erano uomini meravigliosi […] Ma venne poi la caduta. Così parlarono (gli Dei), e tosto mutarono la specie delle loro opere e creature. Il Cuore del Cielo gettò loro un velo sugli occhi, ed essi s’annebbiarono, come quando l’alito tocca uno specchio. I loro occhi si annebbiarono: potevano vedere soltanto quel che era vicino, quel che era chiaro. Così vennero distrutte la saggezza e tutte le conoscenze dei quattro uomini dell’origine e del principio. Così furono creati e formati i nostri antenati. Dal cuore del Cielo, dal cuore della Terra”.

 

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