Re e Sacerdote
Nel mondo della tradizione, il potere regale e quello sacerdotale devono trovare la loro sintesi nella figura del Re consacrato.
Alla regalità spetta il primato nei confronti della sacerdotalità proprio come il sole lo ha nei confronti della luna e come l’uomo lo ha nei confronti della donna.
Evola, a riguardo, nel capitolo “sulle relazioni gerarchiche tra regalità e sacerdozio” di Rivolta Contro il Mondo Moderno ci porta all’attenzione alcuni esempi.
Il primo è quello di Melchisedek.
Melchisedek era una delle figure più enigmatiche dell’antico testamento ed è il personaggio che Abramo incontra quando arriva nel territorio di Salem dopo una spedizione militare contro i quattro sovrani per liberare il nipote Lot. Il re di Salem era per l’appunto Melchisedek che oltre ad essere re era anche il sacerdote della divinità locale El-Eljon.
Melchisedek offre ad Abramo del pane e del vino in segno di ospitalità e pace il quale accetta e ricambia il gesto cedendo la decima del suo bottino di guerra, così da stipulare un patto bilaterale. In questo momento Melchisedek benedice Abramo che si lascia benedire riconoscendo così la sua subordinazione nei confronto del Re-Sacerdote.
Il secondo esempio è quello dei testi indo-ari che si rifanno a civiltà completamente tradizionali. Queste civiltà, anche se caratterizzate da una connotazione prevalentemente sacerdotale, conservano comunque la nozione del giusto rapporto tra regalità e sacerdotalità.
Manavadharmashastra: “La schiatta delle divinità guerriere sorse dal Brahman come la forma più alta e più perfetta, (…) per questo non vi è nulla di superiore alla nobiltà guerriera (kshatram) e i sacerdoti (brahman) venerano il guerriero quando ha luogo la consacrazione del re”
Seppur in questo caso il potere sacerdotale si assume tramite un rito di investitura e non è già naturalmente parte della figura regale, non significa che si sta stabilendo o ammettendo la subordinazione del re alla casta sacerdotale.
Ovviamente, venuta meno la razza degli esseri già per natura non semplicemente umani, il re prima della consacrazione non è che un guerriero. Nella consacrazione egli ASSUME, e non riceve, un potere dalla casta sacerdotale la quale non ne è possessore ma custode.
La casta sacerdotale figura nel rapporto di madre o matrice materna di fronte a quella guerriera o regale. Il tipo regale si presenta quindi secondo il suo valore di principio maschio che individua, padroneggia e regge «trionfalmente» la forza spirituale concepita e trasmessa da un’immagine femminile o madre (tramite rito di investitura).
Altro esempio è quello di Carlomagno il quale fu consacrato secondo la formula: «A Carlo augusto, coronato da Dio, grande e pacifico imperatore dei Romani, vita e vittoria». Di fronte a lui anche il Papa si inchinò secondo il rito stabilito. Oltretutto in quel tempo i concili ecclesiastici venivano convocati, autorizzati e presieduti dal principe, al quale dai vescovi venivano sottoposte le conclusioni con la formula: «Al Signore e Imperatore, e che la sua saggezza vi aggiunga quel che manca, vi corregga ciò che è contro ragione», il che ci dice dunque che al sovrano venivano ancora riconosciuti l’antico primato e una imprescrivibile autorità nei confronti della sacerdotalità.
Evola ci diche che quando la casta sacerdotale pretende che per via della consacrazione da essa ufficiata l’autorità regale debba riconoscerla come gerarchicamente superiore (chi benedice è superiore a chi viene benedetto) e quindi tributarle obbedienza si è in piena eresia, in pieno sovvertimento della verità tradizionale.
È questo il momento in cui iniziano i conflitti tra l’autorità sacerdotale e quella regale per stabilire a chi spetta il primato e la supremazia dell’una sull’altra. Inizialmente, però, questo conflitto non aveva il carattere di supremazia politica ma era un conflitto riguardante solamente la sfera spirituale.
Dopo la differenziazione dei poteri infatti il Sacerdote si definisce un interprete e un mediatore del divino e, per quanto potente, egli avrà sempre coscienza di rivolgersi a Dio come al suo Signore. Il Re Sacro invece si sente della stirpe egli dei quindi ignora il sentimento della subordinazione religiosa e non accetta quindi ogni pretesa di supremazia avanzata dal sacerdote.
Quando il potere regale e il potere sacerdotale non confluiscono nella stessa figura c’è un allontanamento dal mondo della tradizione.
Si procede, quindi, verso una forma di ANARCHIA ANTITRADIZIONALE la quale produce un duplice effetto: una regalità che punta al mero potere temporale in rivolta contro l’autorità spirituale ed una spiritualità di tipo ecclesiastico contro una spiritualità incarnata dai monarchi.
Storicamente nel Medioevo si ebbe l’ultimo grande episodio di conflitto nella lotta fra l’universalismo religioso, rappresentato dalla chiesa, e l’idea regale incarnata dal Sacro Romano Impero. Secondo l’idea regale l’Imperatore è il capo della chiesa, non sostituisce il Papa ma soltanto nella funzione imperiale si può racchiudere efficacemente la forza portata dalla chiesa. Con l’universalismo religioso, invece, e nello specifico con la riforma gregoriana si punta a dare il potere religioso totalmente nelle mani del Papa e con l’assunzione del titolo di Pontifex Maximus assistiamo ad un’usurpazione poiché originariamente e fino a quel momento quella di Pontifex Maximus era una funzione del re.
In conclusione possiamo quindi affermare che fintanto che il potere regale e il potere sacerdotale confluiscono nella stessa figura ci troviamo nella sfera del mondo tradizionale; al contrario, più i due poteri si allontanano l’uno dall’altro e più ci avviciniamo ad una visione del mondo totalmente antitradizionale.
Il Reazionario