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Il ReazionariO

Natale di Luce

Anche all’uomo moderno, nonostante la sua visione positivistica, può riuscire comprensibile la esperienza spirituale che doveva essere motivo delle antiche religioni “solari”: il Sole visto come aspetto manifesto del principio divino, potenza primigenia che è all’origine stessa della vita terrena.

Qualche difficoltà di interpretazione può presentarsi riguardo alla simbologia che si connette agli antichi culti del Sole: ma tale difficoltà può essere superata, se il complesso dei simboli non venga esaminato soltanto mediante l’analisi filologica o semplicemente razionalistica, ma possibilmente con l’intuizione vivente del rapporto che lega l’uomo al cosmico.

Nell’ideografia arcaica delle culture di origine atlantica, il Sole esprime simultaneamente l’uomo e la “scaturigine della vita”, la origine della individualità creatrice e la “luce soprannaturale della natura». Come nel corso annuale il Sole muore e rinasce, così anche l’uomo vive il suo “anno», che è il suo ciclo di vita: muore e rinasce. L’anno solare può essere visto come una realtà e un simbolo al tempo stesso, espressione di una legge universale di ritmica evoluzione: quella del tramontare e del risorgere.

Così nel culto del Dio-anno, uno speciale momento assumeva significato sacro, anche a causa del maggiore contrasto delle stagioni, connesso alla particolare ubicazione della cultura “iperborea»: il momento, in cui la luce, nella parte inferiore dell’eclittica, sembra spegnersi e sparire nella terra, e su cui invece nuovamente si eleva per il ritmo delle stagioni, ritrovando uno splendore più vivo: il solstizio d’inverno.

La sparizione della luce nel mondo delle tenebre, condizione cosmica per la sua resurrezione, è un mistero che le antiche religioni solari hanno sentito come simbolo di ciò che con gloria perenne rinasce, oltre quel morire, oltre quel combattere e quel consumarsi, che è l’esistenza dell’uomo terrestre. Perciò è ravvisabile nei culti solari della preistoria, una originaria intuizione, se non un ansioso presentimento, della nascita dell’autentico “eroe solare». Assai prima della sua nascita, il Cristo già vive come speranza e come luce del faticoso esistere umano.

In nomine tuo videbimus lumen.

A un simile sentimento è riferibile il fatto che gli adoratori del Dio Solare della tradizione indo-iranica, Mitra, celebrassero l’astro della luce e della vita proprio nei giorni del solstizio invernale, in una data, del resto, fatidica per la storia di tutte le religioni.

Senza tener conto delle analogie tra Mitraismo e Cristianesimo rituale, notate da Tertulliano e da Giustino, in un’epoca in cui il culto di Mitra esercitava ancóra la sua sottile influenza sul costume religioso romano, è sufficiente ricordare come i veggenti della tradizione biblica si fossero comunicati l’un l’altro l’approssimarsi del giorno della essenziale Natività, e come gli iniziati di tutti i popoli avessero annunziato il massimo evento della evoluzione dell’uomo. Così gli astrologhi avevano calcolato nel ciclo l’approssimarsi della Sua stella; le Pizie della Grecia e le Sibille dell’Oriente, nei responsi dati in forma simbolico-analogica, predicevano la Sua venuta; e Atene elevava altari al “Dio sconosciuto», che avrebbe restituito all’uomo il “corpo incorruttibile», o “corpo di resurrezione».

Con analogo senso la intuizione dei poeti evocava la immagine del Salvatore, attraverso la visione di un nuovo ideale di vita: Virgilio cantava il “fanciullo divino» che sarebbe venuto ad instaurare un “nuovo ordine” e a restituire sulla terra la remota “età dell’oro”; mentre Eschilo aveva già osato affermare che il legno di Zeus era presso al tramonto. Così la filosofia, dopo aver raggiunto i culmini della speculazione cosmologica ed etica, aveva detto con Socrate “che occorreva ora attendere che discendesse dal ciclo, per esprimersi, qualcosa di più significativo”.

Singolare, invero, è il presagio di Socrate. Al termine del dialogo Menone, egli preannuncia la comparsa di “un politico di tale capacità da rendere politico anche un altro” e aggiunge che questi sarà “come, vicino a ombre, una realtà vera”. Nel Politico (secondo che osserva in un limpido studio sull’argomento Roberto Bartolozzi, alla cui traduzione attingiamo) l’allusione è di un’evidenza sconcertante.

“Gli uomini, vedi, non ne vogliono sapere di quel Monarca unico; gli uomini non hanno fede che un giorno verrà qualcuno degno di tale immensa autorità, qualcuno deciso veramente a reggere il mondo con virtù e con sapere. Un Monarca ha da comparire per tutto il genere umano, con perfetta rettitudine, co giuste istituzioni di vita e santità di costumi. Gli uomini sono convinti che, pervenuti a tale immenso potere, non si pensi che a martirizzare, a uccidere, a danneggiare ciascuno di noi che siamo sudditi come porta il capriccio. Oh s’egli venisse e fosse quale a noi stai dicendo! Allora, sì, egli sarebbe benedetto, e sicuro e felice il Santo Regno. Egli guiderebbe quale pilota la nave di quella che è unici sola costituzione perfettamente giusta” (Politico, 361-5).

Ancóra più precisa è la divinazione contenuta néH’Alcibù secondo. Chiede Alcibiade: “Ma quando questo tempo sarà presente, Socrate? Chi sarà il Maestro? Oh, con quanta gioia vedrei quest’uomo! Chi sarà?”. Risponde Socrate: “Questo che di te prende cura…”. “Occorre prima togliere dall’anima la nebbia, caligine che l’offusca; e in un momento successivo addurre in quei rimedi in grazia dei quali potrai conoscere il bene e il male e ancóra Alcibiade: “Oh, mi tolga dunque questa caligine s’È vuole! Io sono già pronto; ogni suo precetto non mi troverà cei riluttante, chiunque Egli possa essere. Mi basta diventar migliore Al che Socrate risponde: “Ma saprai che pur Lui nutre, oh, quanto immenso amore e desiderio di te…”.

Si tratta di rendersi conto del senso univoco di una serie espressioni fatidiche proprie alla cultura di un tale periodo. Ad un dato momento una voce misteriosa grida a taluni naviganti nel Mediterraneo che “il Dio Pan è morto”. Si parla, inoltre, del “fine degli antichi Misteri”. La missione del “Logos solare” sulla Terra viene preannunciata dai Santuari dell’India, dell’Iran e del Caldea, e in particolare dalla visione di Osiride resuscitato, chiamato nelle cripte egizie il “Sole di mezzanotte”, o “Portatore luce”.

Gli storici di Roma, Tacito e Svetonio, si volgevano all’Oriente, come per salutare un’alba fatidica. I grandi oracoli del mondo ellenico — Delfo e Dodona — cessarono a un tratto di profetar si chiusero nel silenzio qualche tempo prima della nascita di Gesù quasi a voler significare che il periodo delle visioni e delle divinazioni era sul punto di concludersi, perché stava per giungere Colui che doveva svegliare il Divino nell’intimo della individualità umana, il portatore dell’Io cosmico, il rivelatore della origine spirituale dell’uomo.

E’ evidente come l’anima di tutta la storia palpiti intorno alla nascita di Cristo: le più chiare e ardite espressioni del pensiero, delle profezie e dell’arte, convergono verso la sua immagine, nel momento della Incarnazione. L’invisibile si commuove: congiunzioni siderali, sino allora non registrate, si producono nel firmamento, e attraverso altri segni del mondo astrale, gli spiriti del fuoco e della luce, presenti nella teurgia della tradizione uranio-solare, sembrano voler salutare la Sua venuta. In quell’anno di Roma, 747, Giove e Saturno s’incontrano nel segno zodiacale dei Pesci: la congiunzione è visibile in pieno giorno, in uno straordinario splendore. I calcoli retrospettivi di Keplero, minuziosamente controllati poi dallo Ideler, ricostruiscono il prodigioso fenomeno, cui il mito collega il motivo della stella dei Magi.

Una sorta di attesa cosmica, dunque, una sospensione degli spiriti e delle cose, che si propaga sino al firmamento; una pausa nel tempo fatta di silenzio e di immobilità maestose, precedono la Nascita Divina. Quando la data comincia ad approssimarsi, già le guerre nel mondo sono cessate: la spada di Roma, che sinora non ha avuto tregue, riposa nella guaina; il tempio di Giano rimane chiuso. E nel momento in cui la serenità del mondo sembra raggiungere un apice universale, il Bimbo atteso nasce nella capanna di Bethlemme.

Gli adoratori di Mitra dovettero sentire in quel giorno, attra­verso molteplici segni, che la festa del Dio emanato dalla luce, dell’eroe solare “vincitore del toro”, coincideva con la nascita del “portatore della luce”, effusore di luce: la loro celebrazione dovè assumere il senso della conclusione di un rito millenario, in quanto il retaggio della spiritualità solare e celeste, accolto dai Greci e riaffermato da Roma sotto forma di sociale costume virile, ora si polarizzava, come per il suo compimento, verso la incarnazione del Figlio di Dio, unico nella sua essenza, annunciato dai messaggi del mondo sideralè e delle tradizioni misteriche.

L’aridità positivistica di taluni interpreti della storia e di taluni ricercatori, rimane più che mai una mistica della pedanteria negante, dinanzi a queste sinfonie solari coincidenti nel tempo, dinanzi alla maestà di questo valore metafisico. La pura intuizione, la indagine sovrarazionale, invece, per virtù del loro libero muoversi oltre la dimensione sensibile, possono intendere il contenuto cosmico della Natività, di questa festa mondiale della luce: remotissima e sempre attuale celebrazione dell’astro che, come immagine naturale di una forza soprannaturale, inizia il nuovo ciclo dell’anno, risorgendo sulla volta del ciclo, più vivo e più sfolgorante.

Il mattino della natura coincise da allora con il mattino dell’umanità che si destava a nuova visione dell’essere. Né il culto del Dio “vincitore del toro” si estinse, perché ogni anno, da quel tempo, nei giorni in cui Roma continuava a festeggiare le esequie di Acca Larenzia, il cui spirito ritornava a Giove, ossia al mondo celeste; mentre nel letargo invernale si preparava il risveglio sempre mirabile della natura e si rinnovavano, nelle tradizioni misteriche, sotto espressioni nuove, i remoti culti del “dio-anno” o del “dio-ascia”, simbolo della forza che compiva la cesura ritmica per cui un ciclo di dodici mesi si chiudeva e un altro se ne iniziava: fu sempre celebrato un “signore di luce”. E’ come Mitra era stato considerato dagli Achemenidi il “dio dei re”, protettore della regalità sacra ed eroica, così il Cristo fu riconosciuto nel mondo che iniziava il suo nuovo ciclo, Re dei Re, Salvatore dell’uomo.

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